Il concetto di “pensare globale, agire locale” è partito dal mondo degli ambientalisti e via via è andato diffondendosi in altri ambiti della conoscenza e della convivenza. Nel campo che mi compete, la medicina, dovrebbe essere alla base di qualunque intervento diagnostico o terapeutico, come ebbe a rimarcare uno degli ultimi primari di cardiologia del nostro eccellente ospedale cuneese: “Intorno al cuore c’è un’intera persona, e io mi devo occupare anche di quella”.
Quando un paziente mi descrive il suo disturbo (per esempio un dolore di stomaco) io “vedo” l’evoluzione muscolare-posturale che nel tempo lo ha portato a sviluppare quel sintomo preciso; la partenza potrebbe essere stata un insuccesso scolastico durante le medie, che ha irrigidito la regione addominale alta in un atteggiamento di stizza poi confermato negli anni; oppure un banale traumatismo che ha incassato leggermente il tronco per un tempo sufficiente a “fargli credere” che l’attitudine normale debba essere quella; o altro ancora.
In effetti moltissime patologie, anche internistiche, hanno bisogno di una premessa muscolare, che altera gli equilibri tensionali e quindi produce un danno localizzato. Non è sbagliato, ovviamente, occuparsi dell’organo direttamente colpito; ma se non si tiene conto della totalità la sofferenza verrà sanata solo in maniera superficiale. Per esempio, il mal di stomaco verrà meno perché costretto dai farmaci sintomatici, ma il disturbo meccanico che non trova più sfogo a livello gastrico si potrà spostare nella schiena scatenando rigidità o dolori dorsali. Oppure la specifica terapia antiacida, protratta oltre il tempo necessario come spesso accade anche in tentativi di auto-medicazione, produce un danno da accumulo a livello connettivale di radicali acidi – che non possono più riversarsi nello stomaco proprio per l’azione inibente del farmaco – con comparsa di dolori anche a grande distanza, aggravamento di altre patologie già presenti, perfino importante malumore o insonnia: è la condizione di “acidosi” o, per semplificare, di acidità (non di stomaco ma) del tessuto sottocutaneo.
Un altro esempio, di natura apparentemente del tutto diversa. L’intera superficie del corpo è percorsa da correnti elettriche, certamente di microvoltaggio, ma comunque misurabili con idonei apparecchi. Vecchie cicatrici, magari anche dimenticate, possono alterare stabilmente la carica elettrica locale ed influenzare l’organismo anche a distanza. E’ quanto accaduto a un signore affetto da un mal di schiena che durava da mesi, e che abbiamo risolto con il trattamento di “neuralterapia” (il cui significato sarà svelato ai lettori curiosi di cercarne informazioni in Rete) sulla piccola cicatrice al polpaccio prodotta da un morso di cane alcune settimane prima della comparsa del dolore lombare.
Al trattamento sintomatico vanno di volta in volta affiancati il lavoro posturale, un diverso orientamento alimentare, una migliore gestione dello stress, e questa visione globale garantisce sì la scomparsa del sintomo, per ottenere un immediato sollievo, ma soprattutto della causa remota che lo ha provocato.
Per esperienza diretta sappiamo che, quando una parte di noi soffre, il disagio si trasmette a tutto l’organismo; ma difficilmente siamo consapevoli del modo in cui certi organi (apparentemente) sani possono danneggiare distretti anche distanti e (apparentemente) non correlati.
Non ho mai avuto velleità politiche e non credo che le avrò neppure in futuro, ma posso avanzare una provocazione diretta ai politici: seguendo i parametri che ho tentato di descrivere, come si cura una… città?
– La bonifica di un’area industriale (che riversa il suo prodotto inquinante su tutto il territorio),
– l’attenzione a un gruppo sociale disagiato (che può produrre aumento di criminalità, vandalismi, o semplici schiamazzi),
– la buona gestione dei trasporti (che semplifica il vivere di tutti)
– o degli eventi culturali (che arricchisce il vivere di tutti):
questi – e ovviamente molti altri – sono possibili esempi di azione locale pensando globale.
Mario Frusi