Project Description
di Mario Frusi (Presidente Isde Cuneo)
Ben prima che acquisisse la sua conformazione giuridico-politica attuale, il germe dell’Unione europea aveva già prodotto dei risultati capaci d’influenzare significativamente la vita dei suoi cittadini.
La ormai storica classificazione degli additivi alimentari che ci siamo abituati a leggere nelle etichette inizia per l’appunto con la E di Europa, seguita da un numero di tre cifre che identifica nella prima la categoria di appartenenza (per esempio 2: conservanti) e nelle altre due il prodotto chimico specifico (per esempio E224: metabisolfito di potassio). Ha acquisito un’autorevolezza che l’ha portata anche fuori dai confini, sempre più vasti, dell’Unione: per esempio la Svizzera e molti Paesi cosiddetti emergenti l’hanno adottata come propria.
E’ in corso una profonda revisione dei suoi dati, perché una lista d’ingredienti non alimentari inseriti nei cibi necessita (com’è ovvio) di continui ri-adattamenti a seconda delle nuove scoperte scientifiche: il regolamento REACH (Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals) si propone di ottenere dalle industrie una scheda scientifica esauriente per ogni sostanza, e tale da fugarne le paure di pericolosità. Il lavoro della Commissione REACH durerà svariati anni, al termine dei quali ci aspettiamo che molti additivi siano stati revisionati, forse addirittura messi al bando e sostituiti con altri più salutari.
O magari con nessuno! Già, perché molto spesso gli additivi, che nulla aggiungono alla qualità nutrizionale degli alimenti, sono utilizzati per semplicemente migliorarne l’aspetto, o il gusto, o la conservabilità. Ma se la qualità originale di un prodotto è buona NON ci sarebbe quella gran necessità di migliorarla. Frequentemente, cioè, dietro l’uso dell’additivo si celano ingredienti scadenti, oppure processi di lavorazione poco salutari, che necessariamente richiedono un’aggiustatura prima della presentazione al consumatore: stiamo parlando soprattutto delle categorie “conservanti”, “coloranti”, “esaltatori di sapidità”. La progressiva implementazione delle tutele giuridico-merceologiche finirà per imporre alle aziende la quasi totale scomparsa di additivi, in favore di un prodotto di sempre maggiore qualità e predisposto in maniera sempre più rispettosa di buona lavorazione.
Ma sin d’ora il singolo utente, il cittadino comune può attrezzarsi in proprio, imparando a leggere le etichette per:
-favorire gli alimenti esenti da additivi (esistono minestroni in scatola, preparati in ambiente sterile, che NON contengono i conservanti necessari alla lavorazione non-sterile);
-scartare un prodotto che, pur sovrapponibile per costi e caratteristiche generali a un suo concorrente, si dimostri tarato dalla presenza di troppa chimica (ci sono delle confezioni di senape a marchio di supermercato che NON contengono conservanti/antibatterici, al contrario di altre pur famose e tuttavia “inquinate” da anidride solforosa);
-effettuare una sommatoria degli additivi ancora presenti in tutti gli alimenti industriali consumati in una stessa giornata (e scegliere così d’introdurre più cibi freschi-preparati all’istante).
Questi non sono che alcuni esempi di quanto potere il consumatore abbia nelle proprie mani, quando ne diviene consapevole.
Soltanto da qualche mese è stata approvata una norma che renderà le etichette più facilmente leggibili, non così cava-occhi: nell’arco di uno-due anni scorrere gli ingredienti sarà molto più agevole.
E’ opportuno avere un’idea approssimativa delle principali categorie di additivi:
E100-E199: coloranti. Il buon gelato al pistacchio non è verde chiaro: il colorante viene usato per calamitare l’attenzione non solo dei bambini.
E200-E299: conservanti. Molto spesso tossici.
E300-E399: antiossidanti e correttori di acidità. Anche in questa categoria si possono rinvenire prodotti di dubbia sicurezza, evitabili se l’alimento originario è preparato a fresco e in condizioni ottimali di fabbricazione.
E400-E499: addensanti, stabilizzanti. Utili soprattutto per correggere la poca qualità organolettica di base.
La Rete è, naturalmente, un buon supporto (sempre che venga utilizzata in maniera critica: i blog allarmistici non sono soltanto molesti ma autenticamente pericolosi, mentre gli accurati elenchi affiancati da nozioni chimiche possono offrire molta chiarezza) e a quella si affiancano le associazioni consumeristiche, alcune delle quali producono opuscoli o veri libri-guida.
(Fonte: il sole 24 ore)